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L’evoluzione delle strutture portuali della Trieste moderna tra ‘800 e ‘900

Lo sviluppo di Trieste come città portuale e mercantile ha inizio con la concessione del porto franco nel 1719 ad opera dell’imperatore Carlo VI. La crescita dei traffici e della popolazione assume da allora una progressione continua fino alla prima guerra mondiale. […] La formazione del Regno d’Italia fa perdere all’ Austria territori economicamente importanti e per Trieste un ricco bacino di traffico. La complementarità fra le strutture economiche dei due paesi rende però evidente l’interesse reciproco a mantenere vivo l’interscambio. Negli stessi anni Trieste viene finalmente raggiunta dalla ferrovia che la collega al cuore della monarchia. […] L’apertura del canale di Suez crea nuove favorevoli opportunità di traffico. Nello stesso tempo si compie una profonda trasformazione del commercio internazionale. La facilità e la velocità con cui ormai circolano informazioni e merci rende possibile ai produttori e agli utilizzatori di entrare direttamente in contatto d’affari. Le città portuali perdono gradualmente il carattere di empori permanenti e si concentrano sulle operazioni di transito delle merci che arrivano e ripartono rapidamente via mare e via terra. La città-fondaco tramonta nella città-porto dove il flusso prevale sullo stazionamento e il mercante cede il passo allo spedizioniere. Il porto franco esteso a tutta la città diventa superfluo e viene ristretto alle banchine e ai magazzini adiacenti. (Giovanni Panjek)
La storia degli anni 1918-1960 è quella della decadenza per il porto. Alla vigilia della prima guerra mondiale risultava essere uno dei più dinamici del Mediterraneo, ma la guerra stessa rappresentò uno spartiacque decisivo tra un periodo aureo ed un difficile […]. Negli anni del primo dopoguerra […] vennero richiesti, ed ottenuti, ingenti aiuti allo Stato italiano […]. Nel 1925 vennero confermate alcune autonomie di cui il porto aveva già goduto nel periodo austriaco, ma l’atteso riavvio dei commerci non arrivò. […] Nel 1928 vennero estesi alla Venezia Giulia gli effetti della legge speciale per Napoli, e negli anni successivi altri provvedimenti garantirono la sopravvivenza del sistema economico locale, rendendolo però sempre più dipendente dall’ intervento pubblico. […] La valorizzazione dell’Africa Orientale Italiana, il riarmo e la seconda guerra mondiale proiettarono letteralmente in prima linea l’economia marittima triestina, che subì ingenti danni dal conflitto, tanto nelle infrastrutture quanto nel naviglio navigante. La ricostruzione postbellica avvenne al di fuori dello schema italiano. Trieste era amministrata da un Governo Militare Alleato […]. La posizione strategica delicatissima rivestita da Trieste negli anni della Guerra fredda fece sì che l’economia locale venisse sostenuta con una tale larghezza di fondi da mettere il Territorio Libero di Trieste al primo posto in Europa per il livello pro capite raggiunto dal controvalore degli aiuti previsti dal Piano Marshall. […] Il ritorno all’ Italia fu un’epoca di nuove attese e cocenti disillusioni. L’abbondante iniezione di risorse finanziarie che seguì la nuova redenzione della città giuliana servì soltanto per tamponare le falle più evidenti di un sistema economico che alimentava ormai a stento una città «esigente e depressa», come la definì Alberto Berti, che soltanto in parte seppe raccogliere le sfide dei promettenti anni Sessanta, e dotarsi di risorse tecnologiche (come la containerizzazione e l’oleodotto) adatte ai tempi nuovi.
(Giulio Mellinato)

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